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sabato 1 marzo 2014

IL RINNOVAMENTO PER POGGIBONSI. LORIANO CHECCUCCI CANDIDATO SINDACO. L’ALTERNATIVA è SOLO DI SINISTRA!

Il direttivo del circolo “G.K. Zhukov” di Rifondazione Comunista di Poggibonsi ha deciso, nella sua ultima riunione, di lanciare la candidatura di Loriano Checcucci a sindaco della città. Loriano è un giovane lavoratore autonomo, muratore, da 23 anni iscritto al PRC; non ha mai avuto esperienze da amministratore, la sua attività politica fino a questo momento si è caratterizzata nella militanza appassionata e disinteressata nelle file di Rifondazione Comunista. Non gli manca però l’esperienza: dal 2009 al 2011 è stato segretario provinciale del PRC, nelle cui vesti ha seguito da vicino le problematiche di tutti i comuni della provincia. Non si è mai piegato a logiche compromissorie e spartitorie, ma anzi le ha sempre combattute, sia nell’azione politica che nel suo contesto lavorativo di artigiano.
La scelta di non partecipare alle primarie del centrosinistra deriva da un giudizio per la maggior parte negativo sulla giunta uscente e su tutte quelle precedenti. Abbiamo comunque cercato il confronto programmatico, ma su tematiche che noi riteniamo fondamentali – come la costruzione di una nuova modalità di gestione della filiera dei rifiuti, che dia il via ad un processo di uscita dalla pratica dell’incenerimento (dannosa per la salute dei cittadini, per l’ambiente e per il bilancio comunale), o la necessità di ripubblicizzare i servizi a partire da quelli economicamente rilevanti (come il servizio idrico) – la risposta del centrosinistra è stata un secco NO. La nostra scelta dunque non poteva che cadere ancora una volta su una collocazione alternativa.
Intorno a questa candidatura intendiamo costruire, con il coinvolgimento di tutti, un polo della sinistra con le carte in regola per governare Poggibonsi su linee guida totalmente diverse da quelle che si discutono nel ring delle primarie: mettere al centro il lavoro, quindi il mantenimento e rafforzamento dei centri produttivi poggibonsesi (in particolare il settore camperistico), la lotta agli sfratti e agli affitti in nero, l’organizzazione della raccolta differenziata porta a porta su tutto il suolo comunale, l’unione delle forze con gli altri comuni della Val d’Elsa per far fronte alla mancanza di finanziamenti agli Enti Locali (a causa del folle Patto di Stabilità), e all’imminente abolizione delle province, senza svendere però la democrazia. Questo è realizzabile solo richiedendo e valorizzando la partecipazione più ampia possibile dei cittadini alle decisioni, garantendo l’assoluta trasparenza della gestione amministrativa: Il comune deve essere una casa di vetro.
Queste e molte altre sono le sfide per il futuro che Rifondazione Comunista e la sinistra poggibonsese, con Loriano Checcucci sindaco, intendono lanciare e portare avanti. Rinnovare la città non significa cambiare solo le facce, significa cambiare radicalmente la gestione del comune, significa costruire una politica nuova che metta al centro le fasce deboli del paese che stanno pagando per una crisi non provocata da loro.
Partito della Rifondazione Comunista - Circolo “G.K.zhukov” Poggibonsi

ELEZIONI EUROPEE: CON ALEXIS TSIPRAS, CON LA SINISTRA D'ALTERNATIVA, PER CAMBIARE L'EUROPA!



Il prossimo maggio, in concomitanza con le elezioni amministrative, saremo chiamati al voto anche per rinnovare la Commissione e il Parlamento europei. L'occasione è importante per marcare una netta differenza rispetto al passato nella gestione del vecchio continente. E' necessaria una svolta totale: per decenni, dopo il crollo del blocco orientale, l'Europa ha subito la ormai tradizionale egemonia economico-culturale degli Stati Uniti, insieme al tentativo di generare una propria soggettività economica e commerciale (sempre inserita nell'orbita USA). Ecco che, di concerto con l'affermazione del neoliberismo in salsa anglo-americana, l'UE intraprende una stagione di politiche monetarie, il cui esordio fu il trattato di Maastricht nel 1992, che la porta con il tempo alla strutturazione di un assetto finanziario centralizzato sulla BCE e sulla potenza tedesca. Con l'esplosione della bolla speculativa del 2007/2008 e l'inizio della crisi economica, l'Europa della libera circolazione delle persone e delle merci e della moneta unica, egemonizzata dal capitale tedesco e dai suoi interessi, inaugura una fase di regressione della capacità statale nell'offerta dei servizi, di aumento della tassazione sul lavoro e sulla produzione, di accentramento di ogni potere (economico, politico, finanziario) sui paesi forti dell'Unione e in particolare sulla Germania, che va sotto il nome di Austerità.
In nome del salvataggio dei grandi capitali europei, molti paesi cosiddetti periferici, come la Grecia, hanno dovuto pagare un tributo altissimo, con gravissime ripercussioni sull'occupazione e il tenore di vita della popolazione locale.
Come sappiamo l'Italia fa parte di quei paesi che stanno subendo più di tutti la crisi e l'Austerità: anche da noi misure come il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio in Constituzione, l'aumento percentuale dell'IVA, il Patto di Stabilità e molto altro che dovevano servire per sanare il debito pubblico del nostro Paese, si sono rivelati un cappio al collo per ogni tipo di attività produttiva di piccole dimensioni, per i lavoratori e per tutte le fascie deboli della popolazione.
L'alternativa, a queste elezioni, è rappresentata dalla proposta della Sinistra Europea (di cui fa parte anche Rifondazione Comunista) di lanciare una lista di sinistra autonoma dal Partito Socialista Europeo (uno dei maggiori sostenitori delle misure di Austerità) con candidato alla presidenza della Commissione Europea Alexis Tsipras, parlamentare greco e leader del Partito di Syriza, il più grande raggruppamento greco della sinistra radicale. L'obiettivo è quello di ridisegnare completamente l'assetto monetario, economico e politico dell'Unione Europea, verso la riaffermazione della sovranità nazionale, l'autodeterminazione dei popoli e la redistribuzione popolare della ricchezza, impedendo la possibilità a qualunque dei paesi dell'Unione di egemonizzare con i propri capitali l'Unione stessa, a discapito di tutti gli altri.
La sfida è grande e difficile, ma la ragione politica e la necessità oggettiva di voltare completamente pagina con il neoliberismo, nella prospettiva di un definitivo superamento del capitalismo europeo (vero responsabile dell'Austerità) rende quest' operazione valida, oltre al fatto che all'oggi è l'unica alternativa credibile  alle solite ricette dette con parole diverse. Rifondazione Comunista è con i popoli d'Europa, Rifondazione Comunista è con Alexis Tsipras!

LA NUOVA LEGGE ELETTORALE PEGGIORE DELLA PRECEDENTE.

La Costituzione della Repubblica italiana definiva in modo chiaro i ruoli dei vari organi dello Stato. Il Parlamento doveva fare le leggi, trovando convergenze particolari sui singoli provvedimenti. Al governo toccava eseguire (non a caso si chiama “esecutivo”) e solo in casi di provata emergenza poteva emanare decreti-legge, scavalcando il Parlamento. Eppure da vent’anni a questa parte si è avuto un progressivo stravolgimento dei ruoli. I governi (di tutti i colori) hanno iniziato a decidere a suon di decreti, che il parlamento poi doveva solo ratificare. Si è creato il mito della “governabilità” si è preteso di semplificare il quadro politico, cancellando le voci fuori dal coro. E parte essenziale di questo disegno volto a blindare un certo ceto politico, è stata la modifica del sistema elettorale. Le riforme del ’93 (mattarellum) e del 2006 (dal nome significativo “porcellum”) sono servite a comprimere le diverse opzioni politiche in due blocchi simili, che hanno finto per alcuni anni di essere alternativi fra loro, per poi finire a governare allegramente assieme, in nome e per conto delle banche e dei poteri forti……
La legge elettorale del 2006 aveva permesso l’imposizione di questo regime bipolare in due modi:
1) Imponendo ai partiti indipendenti una percentuale minima -per entrare in Parlamento- doppia rispetto ai partiti coalizzati. Cioè un partito fuori dal coro per entrare in Parlamento aveva bisogno del 4%, mentre una forza “allineata” poteva accedere con soltanto il 2% dei voti.
2) Imponendo la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera alla forza che prendeva più voti, anche se sul piano proporzionale era molto lontana dal 50%. Così si escludeva a priori la necessità costituzionale di ricercare una maggioranza sui singoli provvedimenti.
3) Imponendo liste bloccate di persone scelte dai dirigenti di partito, senza la possibilità per i cittadini di esprimere preferenze o manifestare “distinguo” all’interno dei singoli partiti.
Dopo sette anni dall’approvazione del “porcellum” finalmente la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza di INCOSTITUZIONALITA’ per i tre motivi sopra elencati.
E la risposta delle due principali forze politiche (PD e PDL) quale è stata? Semplicemente reinventarsi una nuova legge elettorale, che RIPROPONE TUTTI E TRE GLI ELEMENTI DI INCOSTITUZIONALITA’, OLTRETUTTO INGIGANTITI.
Infatti nel disegno Renzi-Berlusconi :
1) Si ripropongono gli sbarramenti “differenziati” fra i partiti fuori dal coro ed i partiti allineati. Semplicemente si raddoppiano le percentuali minime ( 8% per i partiti indipendenti – 4,5% per gli allineati) In più si inventano meccanismi che consentono di entrare in Parlamento anche agli “allineati” che non raggiungono la quota ((altro che semplificazione)) !
2) Si ripropone il premio di maggioranza assoluta per la forza che prende più voti, e se da un lato si stabilisce almeno una quota minima ( 35 o 37% ) per far scattare il premio, dall’altro si estende ad entrambe le camere, blindando la maggioranza.
3) Si ripropongono le liste bloccate, senza possibilità di esprimere preferenze, esattamente come nel “porcellum”.
Sicuramente la nuova legge elettorale –se verrà approvata- sarà oggetto di una bocciatura da parte della Corte Costituzionale, esattamente come la precedente. Ma con i tempi biblici di cui hanno bisogno gli organismi giudiziari italiani, nel frattempo la classe dirigente si sarà assicurata un altro decennio di potere senza interferenze……..

CONGRESSO CGIL: TRA ACCORDI SCELLERATI E TENTATIVI DI CAMBIAMENTO. LE PROPOSTE PER IL LAVORO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA



Lo scorso 8 dicembre, nella sua giornata conclusiva, il congresso nazionale di Rifondazione Comunista ha approvato un ordine del giorno della federazione di Chieti che impegna il partito «ad organizzare momenti di discussione sul tema della democrazia nei luoghi di lavoro e di contrasto agli accordi che limitano i diritti dei lavoratori o li subordinano alla cosiddetta ‘competitività d’impresa’.» l’ordine del giorno chiamava in causa e criticava gli accordi del 28 giugno 2011 (sulle deroghe ai contratti) e del 31 maggio 2013 (su esigibilità dei contratti e rappresentanza sindacale). Tale impegno era (ed è) dettato dal fatto che la democrazia e l’agibilità sindacale sono questioni fondamentali «per la difesa e la tutela dei diritti nei luoghi di lavoro e per agire il conflitto quale terreno indispensabile per le conquiste dei lavoratori.» Una posizione in assoluta controtendenza rispetto alla decisione della segretaria generale della CGIL Susanna Camusso di porre la sua firma sull’accordo del 10 gennaio 2014 che disciplina in maniera dettagliata le regole sulla rappresentanza e sull’esigibilità dei contratti. Una firma che pesa come una spada di Damocle sulla testa dei lavoratori che lottano ogni giorno nei luoghi di lavoro, e sulle spalle della Fiom per schiacciarla con tutto il peso della “normalizzazione” entro cui la Cgil, da anni, cerca di riportarla. Da un punto di vista (potremmo dire) tecnico non ci sono novità sconvolgenti nell’accordo del 10 gennaio rispetto a quanto già era scritto nell’intesa del 31 maggio 2013 su rappresentanza ed esigibilità dei contratti. Solo che ora è tutto più esplicito. Mentre tra le righe dell’accordo del 10 gennaio si legge, sì, un regolamento, ma un regolamento di conti tra Susanna Camusso e Fiom, con la prima che ha sempre mal digerito la conflittualità dei metalmeccanici che non si rassegnano ad un sindacato neocorporativo.
Naturalmente nel contesto del congresso nazionale della Cgil, il quale sta vedendo una scarsissima partecipazione da parte dei lavoratori e un dibattito spesso ingessato sulle  posizioni della segreteria uscente, la questione degli ultimi tre scellerati accordi sta diventando sempre più dirimente. Senza entrare nel merito delle proposte congressuali, è necessario però notare che il primo documento sostenuto dalla Camusso, rivendica l’accordo del 31 maggio 2013 come un «accordo positivo, frutto dell’iniziativa di tutta la Cgil», senza critiche quindi. Quell’accordo è stato prodromo di quello oggi contestatissimo del 10 gennaio. Soprattutto, però, l’accordo del 31 maggio 2013, per stessa ammissione della maggioranza della Cgil (nero su bianco sul primo documento congressuale), non è scindibile dal contestatissimo accordo sulle deroghe del 28 giugno 2011. Accordo quest’ultimo che ha aperto la strada al famoso articolo 8 sui quali compagne e compagni di Rifondazione Comunista si sono spesi per raccogliere firme per un referendum abrogativo. Il secondo documento pone invece il tema del rinnovamento sindacale in senso conflittuale, volendo riportare la Cgil ad essere una grande organizzazione che tutela i lavoratori dai ricatti padronali. Per questo motivo Rifondazione Comunista nel nostro territorio si schiera a sostegno attivo di questa mozione, promuovendola nei luoghi di lavoro.
Occorre perciò lottare per evitare che la Cgil diventi a tutti gli effetti un sindacato neocorporativo assoggettato ai dettami padronali e della Confindustria. All’interno di un quadro che vede i lavoratori oggetto di un attacco costante da parte dei governi neoliberisti, volto a peggiorarne le condizioni materiali, ad eroderne le tutele ed i diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti, ad inibirne gli strumenti di lotta, sacrificando il tutto sull’altare dell’austerità, dobbiamo, dunque, comprendere che la pace sociale e la collaborazione tra i protagonisti della produzione (i lavoratori) e i padroni voluta da Renzi e da tutta la classe dirigente italiana ha un solo e unico scopo: riconvertire il lavoro a merce al servizio dei grandi proprietari, destrutturare ogni diritto dei lavoratori e cancellare anche il concetto del lavoro come diritto. Ecco perchè il conflitto tra capitale e lavoro è oggi più attuale e più necessario che mai. Il Partito della Rifondazione Comunista sta cercando di andare in questo senso, e infatti sta per essere lanciata sul tutto il territorio nazionale una raccolta firme per un Piano per il Lavoro, una pianificazione occupazionale che fermi la precarietà dei contratti e tamponi la disoccupazione.
 La questione del lavoro però tocca molti altri ambiti, oltre a quello contrattuale. Per fermare la precarietà e lo sfruttamento occorre rilanciare con forza un intervento pubblico in settori strategici come la sanità, oppure la scuola, l’ università e la ricerca, che da anni sono oggetto di un attacco sistematico e che necessitano di un rifinanziamento e di investimenti concreti, invertendo definitivamente la rotta delle politiche dei tagli ai diritti ed ai posti di lavoro, perfettamente rispondenti alle logiche aziendalistiche e privatistiche volute dai governi neoliberisti, con il plauso della Confindustria e della CEI. Più in generale, rimettiamo al centro il tema della lotta alle privatizzazioni (acqua, rifiuti, servizi sociali, etc), poiché i tentativi in questa direzione, da parte di governo e regioni, sono già in atto, come il mancato rispetto dell'esito referendario in materia di remunerazione del capitale nel servizio idrico.
La battaglia deve poi essere condotta anche su altri fronti, come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, o la lotta alle delocalizzazioni produttive, tema più che mai attuale anche all’interno del dibattito congressuale, poiché va a toccare, tra le altre cose, il problema dell’aumento dei livelli di sfruttamento, oltre che quello della logica ricattatoria del baratto tra posto di lavoro e diritti dei lavoratori, come dimostrano, solo per citare alcuni casi emblematici, le vertenze della Fiat e dell’Electrolux.

Rimor: azienda fantasma o in rilancio?



Enorme è la confusione dentro i capannoni Rimor. L'ultima scellerata operazione di acquisto di marchi stranieri ha prodotto la prevedibile impossibilità da parte dell'azienda di pagare i creditori, i quali hanno intrapreso una causa legale che ha di fatto bloccato l'erogazione di fidi bancari a favore della Rimor. Lo scorso 8 luglio, per arginare  l'improvvisa mancanza di finanziamenti, si è scelto di richiedere un Concordato in bianco. Questa mossa oggi rischia di far chiudere definitivamente l'azienda, con incalcolabili danni alla già fortemente indebolita produzione di camper e al relativo indotto, creando migliaia di disoccupati (di nuovo) in tutta la Val d'Elsa. Sì perchè la soluzione proposta dall'intelligence della Rimor ai sindacati per gestire il concordato è sostanzialmente la creazione di un altro ramo d'azienda alla quale cedere immediatamente parte del materiale, compresi 83 lavoratori (circa la metà del personale attuale, l'altra metà resterebbe al proprio posto). Dunque i passati 6 anni di crisi del camper in Val d'Elsa non hanno insegnato nulla, visto che si ripropone la stessa ricetta di sempre, cioè il frazionamento della produzione, anziché cercare di unire le forze. Ma a parte questo, il problema più impellente è che l' ipotetica azienda a cui cedere la metà del personale all'oggi NON ESISTE! Si fanno i conti sulle spalle dei lavoratori per assicurare profitti ai padroni, mettendo a serio rischio il futuro di decine di famiglie valdelsane. A complicare la situazione si aggiunge il fatto che la Rimor ha già 94 esuberi affidati alla cassa integrazione, e dal primo di agosto di quest'anno scatterà la mobilità. Il disastro produttivo ed occupazionale  sembra non avere fine! L'unica scelta possibile per limitare i danni  e garantire un reddito ai lavoratori per almeno 2 anni è usare i contratti di solidarietà, ora e subito, altrimenti le conseguenze potrebbero essere difficili da affrontare.
Più in generale la questione della crisi del settore camperistico in Val d'Elsa deve essere presa sul serio dalle amministrazioni. Per 25 anni ci è stato raccontato che le piccole aziende avrebbero portato ricchezza nel nostro territorio, il risultato è stata una valanga di fallimenti, licenziamenti e trasferimenti alla prima ventata di crisi, essendosi le nostre aziende dimostrate incapaci di sostenere la concorrenza dei grandi gruppi europei. Si rende dunque necessario unire le forze produttive! La politica deve incentivare la creazione di un consorzio delle aziende del camper e del relativo indotto, favorendone l'accesso al credito tramite gli strumenti esistenti, come Fiditoscana, che deve essere usata di più e meglio, non soltanto per garantire una liquidazione ai proprietari che vedono fallire la propria azienda. si devono attuare contratti di lavoro unitari per tutta la filiera, assicurando futuro all'occupazione e alla produzione in Val d'Elsa. In questo senso si è mosso nella giusta direzione il recente Piano Strutturale del comune di Poggibonsi che contempla la necessità di mantenere la destinazione produttiva di gran parte della periferia della città. Se non ci muoviamo subito in tal senso rischiamo di andare in contro, nel breve periodo, a una netta deindustrializzazione del nostro territorio con pesanti ripercussioni sulla ricchezza materiale delle famiglie.

Il comune unico della Valdelsa

In Valdelsa ormai da anni una serie di servizi è già gestita congiuntamente: sevizi sociali e di assistenza tramite la Fondazione dei Territori Sociali Altavaldelsa FTSA; il Politeama ed il Cassero, il teatro di Colle, e più recentemente la Scuola di Musica tramite la Fondazione culturale “Elsa. Inoltre oggi esiste già oggi i tre maggiori centri valdelsani (Poggibonsi, Colle Val d’Elsa e San Gimignano) funzionano come un’unica area metropolitana, a causa della dislocazione dei servizi, uffici, attività commerciali….
Inoltre, con le ristrettezze economiche derivate dal Patto di Stabilità è diventato praticamente impossibile per i singoli Comuni continuare a garantire ai cittadini buona parte dei servizi finora conservati.
L’accorpamento, l’accentramento delle forze non è più un’opzione, ma una necessità oggettiva in tutta Italia. Tuttavia questo accentramento di forze può avvenire in modi diversi e con costi sociali e conseguenze diverse.
La soluzione peggiore, e che purtroppo finora ha prevalso, è l’esternalizzazione, la cessione a privati che agiscono in nome di un utile, oppure l’ingresso di privati (e quindi della logica del profitto) in società pubblico-private. Conseguenze di questa opzione sono il massimo incremento possibile dei costi per gli utenti (che diventano clienti) e la massima riduzione del costo del lavoro, cioè il mantenimento del personale minimo indispensabile.
Altra opzione che più recentemente sembra farsi strada è la “messa in comune” di personale, o l’unificazione di uffici che dovrebbero continuare a dipendere da varie amministrazioni. Questa soluzione, seppur migliore della precedente, crea comunque problemi in termini di gestione di direttive non sempre univoche, e soprattutto resta l’allontanamento del controllo da parte dei cittadini e dei loro rappresentanti eletti. Con la legge sull’”unione dei comuni” infatti si creano organismi di secondo livello atti a decidere sulle questioni comuni. Organismi non eletti dalla popolazione, ma composti da pochi soggetti scelti in seno ai consigli comunali con scarsa o nulla capacità di controllo per gli altri consiglieri.
La terza via che garantisce il massimo del risparmio e contemporaneamente mantiene il controllo democratico sulle decisioni è soltanto l’unificazione vera e propria di più comuni.
I passaggi necessari dovrebbero essere: la definizione di un Piano Regolatore unico, tale da armonizzare lo sviluppo del territorio valdelsano superando gli attuali confini amministrativi; l’uniformazione delle imposte comunali; la creazione di un sistema di trasporto urbano unificato, ((sviluppato sull’asse Pian dell’Olmino – Gracciano – Polo scolastico Colle – centro di Colle – svincolo di Maltraverso – Ospedale della Valdelsa – polo scolastico Poggibonsi – impianti sportivi Poggibonsi – stazione e centro storico di Poggibonsi - area direzionale di Salceto – Via Pisana – Fosci – Pietrafitta – San Gimignano)); un’ unica strategia di sviluppo economico comprendente tutte le tipologie di attività presenti in Valdelsa (dall’ agricoltura, all’industria, ai servizi), tale da affrontare degnamente la crisi; la gestione condivisa dell’offerta turistica che facendo perno sull’attrattività di San Gimignano, potrebbe portare vantaggi alle altre bellezze della zona, favorendo una permanenza prolungata dei visitatori in Valdelsa…. Un’amministrazione unica potrebbe anche dare una risposta efficace all’emergenza abitativa in atto, concentrando le risorse per nuovi alloggi popolari e per i contributi agli affitti; come pure favorendo i contratti a canone concordato, mettendo in contatto proprietari e persone che cercano casa in tutta l’area vasta.
Noi proponiamo, nell’arco di cinque anni, di costituire un unico Comune della Valdelsa senese, comprendente gli attuali comuni di Poggibonsi, Colle, San Gimignano, Casole e Radicondoli, e di avviare la successiva legislatura, nel 2019, con un unico Consiglio ed un’unica Giunta.

Il nuovo piano strutturale di poggibonsi





L’approvazione del nuovo Piano Strutturale segna un notevole passo avanti nelle prospettive della nostra città. Il piano rappresenta in vari aspetti un elemento di discontinuità rispetto alle politiche urbanistiche precedenti, e si avvicina in modo significativo alle posizioni che Rifondazione Comunista porta avanti da vent’anni.
Innanzitutto il nuovo piano sancisce chiaramente il principio del “consumo zero di suolo”. Questa è una novità importante, ma anche una scelta obbligata dalla normativa regionale, e dalla completa stagnazione del mercato immobiliare. In seconda istanza, il Piano sancisce l’importanza strategica -per lo sviluppo sociale e culturale della comunità poggibonsese- di un elemento in passato ignorato dall’urbanistica; cioè una “cintura” di spazi e strutture destinate all’aggregazione ed alla socialità. Questo elemento, che noi abbiamo sempre sostenuto, ha trovato finalmente ampio spazio, anche grazie all’accoglimento degli emendamenti da noi proposti in Consiglio comunale. In terza istanza, viene confermata la “vocazione produttiva” di Poggibonsi, respingendo le sirene di chi avrebbe voluto favorire la deindustrializzazione delle nostre periferie, per sostituire alle fabbriche, varie strutture commerciali. Ciò è importante per impostare una politica dell’occupazione e della produzione, quando sarà superata la crisi; ed anche per salvare le piccole botteghe, ed il centro storico nella sua funzione di “centro commerciale naturale”. Inoltre nel nuovo Piano si recepisce un’altra nostra osservazione in merito alle forme sociali di accesso alla residenza. Precedentemente gli strumenti urbanistici definivano una “quota complessiva” di alloggi “popolari” ( nelle varie forme di accesso facilitato alla residenza previste), che poi veniva contrattata nelle singole concessioni, ed alla fine veniva realizzata solo in minima parte. Oggi invece si stabilisce il principio che la quota complessiva dovrà esser distribuita in TUTTI gli interventi di natura residenziale che verranno autorizzati. Così avremo la certezza che gli alloggi previsti si faranno, e contemporaneamente saranno distribuiti in tutta la città, evitando qualsiasi ipotesi di “ghettizzazione” delle situazioni di disagio.
Naturalmente ancora permangono elementi di perplessità, che dovranno esser chiariti nel futuro Regolamento Urbanistico. In primo, la previsione delle trasformazioni degli ex-annessi agricoli in strutture residenziali ci sembra eccessiva, e rischia di non tener conto del “carico urbanistico” che potrebbe andare a gravare sulle nostre campagne. Sempre in riferimento al territorio rurale insisteremo per mettere vincoli più stringenti di quelli stabiliti dalla Regione alle attività non-agricole praticabili. In modo particolare dovrà essere del tutto esclusa l’ipotesi di trivellazioni ad alta profondità come quelle per l’estrazione di CO2. Inoltre, nel contesto della conferma della “vocazione produttiva” delle nostre aree industriali, dovranno esser definite le tipologie di attività produttiva consentite, escludendo le attività altamente inquinanti o pericolose per la salute pubblica.
Tuttavia gli elementi positivi prevalgono chiaramente, e ci fanno dare un giudizio positivo sul nuovo piano. Ovviamente vigileremo sull’effettiva traduzione dei criteri stabiliti nelle concrete prescrizioni del Regolamento Urbanistico che dovrà esser realizzato quanto prima.

SERVIZI PRIVATIZZATI E TARIFFE ALLE STELLE: L’ALTERNATIVA E’ NECESSARIA.

Dopo un ventennio di tendenza alla privatizzazione dei servizi, da noi sempre contrastata, possiamo fare un bilancio che –in tutta evidenza- conferma i timori che abbiamo sempre avuto.
Nei “monopoli naturali” ((cioè senza concorrenza, dato che non è possibile avere in casa 20 tubi dell’acqua o del gas, e scegliere a quali allacciarsi !!)) in prima istanza possiamo notare che il costo per i cittadini è cresciuto moltissimo in tutti i servizi (gas ,luce, acqua, rifiuti..) Anzi, l’aumento delle tariffe, da alcuni anni, costituisce l’unica causa di inflazione e aumento del costo della vita in Italia. Questo perché la gestione privata, tramite società di capitali, necessita di un utile, un guadagno per i soci che non viene reinvestito nel servizio stesso. E questo sia nelle società completamente private, sia nelle società partecipate. Anzi in quest’ultime, al profitto per i soci, si sommano talvolta i costi di “apparati” spesso abnormi, costituiti da amici degli amici e raccomandati vari. In seconda istanza, a fronte dell’aumento dei costi per i cittadini, non si è visto alcun sensibile miglioramento nell’offerta. In terza istanza, in certi casi (ad esempio il servizio idrico) certi costi continuano a gravare sugli enti pubblici, perché il gestore si prende le tariffe, ma mai completamente tutti i costi della manutenzione. Cioè si privatizzano i guadagni, ma si lasciano le perdite al pubblico…
L’ideologia privatistica, esaurite le promesse di risparmio ed efficienza, ormai da tempo ha esaurito la presa sul senso comune della gente. Emblematico è stato il risultato dei referendum sul servizio idrico svoltisi nel 2011. Eppure, anche in quel caso, la classe dirigente ed i principali partiti che governano il paese, ANCHE A LIVELLO DI AMMINISTRAZIONI LOCALI, hanno semplicemente ignorato il giudizio del popolo, ed hanno continuato a privatizzare. Ultimo in ordine di tempo, ma non per importanza, il servizio postale.
Eppure il cambio di rotta, verso la ripubblicizzazione è sempre più necessario. Naturalmente toccherebbe allo Stato muoversi, ma anche le Amministrazioni potrebbero fare molto, nonostante i vari vincoli di bilancio imposti.
In primis i servizi privi di rilevanza economica, come quelli a carattere sociale, ma anche quelli a rilevanza economica di particolare impatto sulla collettività, debbono essere gestiti ed erogati direttamente dall’Ente pubblico, così come già prevede la legislazione. Per gli altri occorre rafforzare molto i controlli delle Amministrazioni “partecipanti” sulle attività dei gestori, sulla condizione lavorativa degli addetti, sulla qualità dei servizi erogati. Riguardo al servizio idrico, poi, la sconfitta della logica del profitto sarebbe a portata di mano, perché nel nostro ordinamento costituzionale il risultato di un referendum valido rappresenta una fonte di diritto prioritaria rispetto a normative o leggi ordinarie emanate dai rappresentanti eletti. Quindi se l’applicazione del risultato referendario contrasta con i vincoli di stabilità, si deve derogare a questi ultimi, visto che è prioritario il rispetto del referendum. A monte, noi proponiamo di ricercare, qualora la gestione “diretta” di un servizio non sia sostenibile, un’alternativa alla privatizzazione. Per esempio attraverso forme giuridiche diverse dalle società di capitali, come consorzi, fondazioni, aziende speciali. In Valdelsa l’esperienza della FTSA per i servizi sociali, ci dice che questa strada è non soltanto realistica, ma anche conveniente per gli utenti e per le Amministrazioni. Infine un’altra ipotesi interessante è la configurazione, in ambito europeo, della “società pubblica di diritto comunitario”, specificamente destinata allo svolgimento di servizi di interesse generale per conto degli enti pubblici proprietari. Un soggetto giuridico di questo tipo favorirebbe anche l’integrazione europea sul terreno dei servizi ai cittadini, rappresenterebbe un’alternativa concreta alla concentrazione in mani private di ingenti risorse pubbliche e garantirebbe una maggiore capacità di perseguimento di obiettivi di eguaglianza ed equità sociale.