Le primarie? Autoproclamazioni, personalismi, chiacchiere e poco più..
E alla fine finisce tutto a tarallucci e vino. O quasi, perché dopo
settimane di botta e risposta, accuse, critiche e diffamazioni varie,
dopo essersi offesi in tutte le maniere ed essersele dette di tutti i
colori, Bersani e Renzi hanno, con buona pace degli altri
candidati-fantoccio, trovato finalmente l’accordo sulle regole che
disciplineranno le primarie del PD. Nessun registro degli elettori,
doppio turno, possibilità per gli elettori di votare anche solo al
secondo turno e caffè di consolazione per il perdente: il lieto fine
tanto auspicato in casa PD, Vendola se ne faccia una ragione. Ebbene si,
perché a conti fatti il governatore della Puglia viene ridotto in
questo momento, ad esser buoni, a l’outsider di turno buono per dar
l’impressione che queste siano ancora primarie di coalizione e non un
regolamento di conti interno al Partito Democratico. A questo punto
Matteo Renzi, l’enfant prodige a capo della sempre più folta schiera di
rottamatori, diviene il favorito della sfida, potendo contare, dopo
l’eliminazione del registro degli elettori, su tutti i voti che gli
elettori della destra liberale(in cui Renzi suscita una certa simpatia
ed interesse) faranno piovere sulla sua candidatura. Non a caso la
proposta in tema di fisco che Matteo Renzi va ripetendo in giro da
qualche settimana, ovvero quella dei cento euro in meno di tasse per i
redditi sotto i 2.000 che equivarrebbero a 100 euro in più nelle tasche
dei redditi bassi per riavviare e vivacizzare l’economia ed i consumi,
gli è stata data non certo da qualche giovane adepto ansioso di
rottamare il proprio amministratore condominiale, bensì dall’israeliano
Yoram Gutgeld, senior partner e direttore di McKinsey, una delle più
famose società di consulenza al mondo. E di fatti, nella bagarre sulle
primarie di questi giorni si è discusso di tutto, fuorché di programma:
quello è già stato scritto da tempo dalla Troika e, come è facile
prevedere, verrà declinato dal vincitore in linea con la versione
“tecnica” di Monti. L’unica incertezza in questo avvilente scenario
pre-elettorale sembra essere proprio la collocazione e il ruolo che
dovrà assumere il “professore”: ovvero un Monti-bis alla guida di un
governo tecnico rimpolpato da esponenti di quei partiti politici che lo
sostengono oppure, in ultima analisi, salendo al Quirinale in veste di
Presidente di una neonata Repubblica Presidenziale, con buona pace dei
difensori della Costituzione Italiana che sognano ancora elezioni libere
e sistema elettorale proporzionale. In questo scenario, le primarie
divengono ancor più manifestamente una farsa clamorosa, alla luce della
palese inutilità di elezioni in cui il programma è già stato scritto a
Bruxelles e i candidati si autoproclamano a suon di post su Twitter. In
un quadro di tale desolazione politica e, permettetemelo, umana, occorre
dunque uno smarcamento netto della sinistra anticapitalista e
comunista: se però le dichiarazioni di Paolo Ferrero, segretario del
PRC, vanno in questa direzione scegliendo con risolutezza la via di uno
schieramento antiliberista ed anticapitalista con tutti quelli che si
oppongono alle politiche lacrime e sangue della BCE, lo stesso non si
può certo affermare per le restanti anime della Federazione della
Sinistra, ammaliate dalle sirene di un ritorno in parlamento “senza se e
senza ma”. Dalle aperture di Diliberto dal palco della festa dell’IDV
di Vasto nei confronti di un nuovo centrosinistra alle recenti
dichiarazioni di Salvi e Patta sulla necessità di riaprire un dialogo “a
destra”. Mi vien da domandarmi a cosa giovi il rientro in Parlamento a
tutti i costi per una organizzazione politica che nel XXI secolo si
definisce Comunista: se ritornare a sedere tra i banchi di Montecitorio
dev’essere il fine ultimo che la Federazione si impone per scongiurare
il fallimento economico e rimpinguare le casse oramai quasi del tutto
vuote, allora probabilmente in molti tra dirigenti e non hanno
l’esigenza di ritornare a leggere quanto affermato in maniera
lungimirante da Vladimir Lenin e Pietro Secchia rispetto al ruolo di un
partito comunista nella società e tra le masse. Il compito dei
comunisti, dinanzi alla prossima consultazione elettorale, dev’essere
invece quello di riportare le istanze di lavoratori, disoccupati e
studenti, oramai disorientati dalla mancanza di un partito comunista
capace di indicare la strada verso il riscatto delle masse proletarie,
all’interno degli scranni parlamentari. Ricercare l’abbattimento
dell’irriformabile sistema capitalistico e non lo spasmodico ritorno in
Parlamento, buono solo a dar vita ad una classe dirigente
autoreferenziale ed incapace di comprendere le istanze delle masse. In
questa fase storica è imprescindibile rimettere al centro la più netta
discontinuità con Monti e con le politiche europee, la riforma delle pensioni, il Fiscal Compact,
la manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e
l'abrogazione dell'articolo 8/133 voluto dal passato governo Berlusconi. È necessario rompere le catene delle politiche
liberiste e capitaliste che attraversano trasversalmente tutto l’arco
parlamentare, rimettere al centro una progettualità anticapitalista che
ridia dignità al lavoro, sempre più sotto attacco da parte del governo
Monti e delle organizzazioni transnazionali che ne tessono la politica, e
ritornare a calcare la strada che conduce al Socialismo!
Di Vincenzo Esposito, Esecutivo GC Napoli
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