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giovedì 28 giugno 2012

Ministra Fornero, te lo spiega Di Vittorio…


Di Carmine Tomeo

«Nell’intervista odierna al quotidiano statunitense il ministro ha fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro». È la precisazione che arriva dal ministero del Lavoro, a stretto giro dalle dichiarazioni della ministra Fornero, che in un’intervista al Wall Street Journal aveva affermato che «il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio». Se l’ho capita bene, questa precisazione rimane del tutto inutile, rispetto alle giustificazioni della Fornero, che nella stessa nota ha cercato di spiegare che «Il diritto al lavoro non è mai stato messo in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla nostra Costituzione».
Giuseppe Di Vittorio, oggi più che mai compianto segretario generale della Cgil, probabilmente spiegherebbe alla Fornero quanto scrisse nel 1952, nei giorni del congresso della Cgil, e cioè che la Carta costituzionale «garantisce a tutti i cittadini, lavoratori compresi una serie di diritti che nessun padrone ha il potere di sopprimere o di sospendere. Non c’è e non ci può essere nessuna legge la quale stabilisca che i diritti democratici garantiti dalla Costituzione siano validi per i lavoratori soltanto fuori dalla azienda». In sostanza, non può esserci differenza, nella garanzia dei diritti del lavoro costituzionalmente sanciti, tra quanto avviene nel cosiddetto mercato del lavoro e quanto avviene sul posto di lavoro.
Ma questo, evidentemente, è un concetto che non può essere chiaro alla ministra Fornero, così ubriaca di neoliberismo da vedere, nel mercato del lavoro, solo curve di domanda e offerta e diagrammi e numeri e non anche, come dovrebbe essere, uomini e donne in carne ed ossa che quando parlano di “lavoro” pensano alla “dignità”.

Per costruire l’altra Europa c’è bisogno di costruire l’altra sinistra



di Fabio Amato
Il vertice del 28 e 29 Giugno dell’Ue è destinato ad essere ricordato come l’ennesimo in cui la montagna partorì il topolino. Le aspettative dell’adozione di misure efficaci per contrastare la crisi verranno con molta probabilità deluse. Così come verranno delusi coloro che si illudono di una Francia e di un Hollande alfieri della messa in discussione della politica di austerità e rigore dominante in Europa.
E’ una visione questa eccessivamente ottimista e che non fa i conti con il retroterra storico e politico del socialismo e delle socialdemocrazie europee. La posizione di Hollande è sicuramente migliore di quella di Sarkozy, ed il suo programma interno ha elementi progressivi, ma sull’Europa la sua posizione è moderatamente emendativa, punta ad ottenere una modifica parziale che consenta alla Francia di poter meglio affrontare le regole capestro del fiscal compact, lasciando inalterata la natura e gli effetti recessivi e distruttivi del nuovo patto europeo. Come spesso accade, si confondono i desideri con la realtà. Non si vede o si fa finta di non vedere e sapere che i socialisti europei, e fra questi quelli francesi facenti capo proprio al’area di Francois Hollande, non sono stati spettatori della controrivoluzione liberista e monetarista, e neanche critici moderati della globalizzazione. Sono stati protagonisti e fautori della costruzione del primato dei mercati sulla società e sulla politica. Non è un caso che illustri esponenti proprio del PS sono stati alla guida delle istituzioni sovranazionali a-democratiche che hanno dettato l’agenda della controrivoluzione liberista degli ultimi venti anni. Ne ricordo due su tutti: Dominique Strauss Khan, a capo del Fondo Monetario Internazionale e mancato candidato presidenziale , Pascal Lamy, presidente del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, e prima ancora commissario europeo. Il problema politico che c’è in Europa, ed anche in Italia, è la totale e pressoché incondizionata subordinazione delle socialdemocrazie alla costruzione neoliberista dell’Europa. Non solo oggi, nel mezzo della crisi, ma dal 1992 in poi, da Maastricht in poi. Esiste una grande coalizione formata da liberali, conservatori popolari e socialdemocratici europei che è la base politica della costruzione neoliberista e a democratica dell’UE, con a sostegno, in modo più o meno costante, altri gruppi minori.
Non è un caso se con l’approfondirsi della crisi sono grandi coalizioni quelle che hanno governato o stanno governando i paesi europei. O se il Psoe spagnolo di Zapatero ha avuto sulla crisi lo stesso comportamento del Pasok greco. E in Italia , la maggioranza Berlusconi , Bersani, Casini che sostiene Monti, non è forse una grande coalizione fra partiti del PPE e dei socialisti e democratici ? Così come non è un caso che i verdi e la Spd in Germania votino senza colpo ferire il Fiscal compact insieme alla Merkel. Non sono eccezioni, ne coincidenze o semplici scelte nazionali. E’ il manifestarsi del patto politico che governa l’Europa in nome del neoliberismo. E’ l’evidenziarsi della falsità dei bipolarismi coatti che dominano in Europa, della loro insignificanza strutturale. Quando Casini propone il patto moderati progressisti, richiamando all’unità fra i referenti italiani del PPE e PSE, fa una proposta che è nell’ordine naturale degli assetti di potere in Europa, ed è benedetto da Bersani.
La conseguenze politiche da trarre da questo quadro sono che abbiamo urgente bisogno di costruire una sinistra di alternativa, antiliberista e autonoma dal PD, che si ponga l’obiettivo di rompere la grande coalizione delle banche e del neoliberismo, di cui i socialdemocratici europei sono parte costituente, non partner occasionali, e cambiare i rapporti di forza a sinistra.
Nello scorso congresso del Partito della Sinistra Europea, ignorato naturalmente dai media italiani, questa proposta era il cuore del documento politico approvato.
I fatti, e un’analisi corretta della crisi, stanno dando ragione a questi partiti che in Europa sono a sinistra delle socialdemocrazie . Syriza fra tutti in Grecia, ma anche Izquierda Unida in Spagna, Front de Gauche in Francia. Per non dimenticare gli altri paesi europei dove la sinistra di alternativa viaggia a due cifre ed anche oltre. E’ il caso della Danimarca e dell’alleanza rosso verde, del Sinn Feinn in Irlanda, dato al 25% ed unico oppositore alla ratifica del fiscal compact, del Partito socialista in Olanda, dato primo partito nei sondaggi in vista delle prossime elezioni politiche, della sinistra in Portogallo.
La crisi apre uno spartiacque. Non si può pensare di stare nel mezzo. O si è contro il fiscal compact o si è a favore. O si mettono in discussione i Trattati europei, da Maastricht a Lisbona, o non si produrrà alcuna rifondazione democratica e sociale dell’Europa. O si sta con il bipolarismo dei banchieri e della speculazione, del capitalismo casino, o con i popoli e dalla parte di chi sta subendo il furto di futuro e diritti in nome dei mercati. Per rovesciare il paradigma del primato del mercato e dei profitti sulla società e sui popoli, scritto a chiare lettere nei trattati europei, occorre rompere e sconfiggere la sua base politica, la grande coalizione, e costruire una proposta alternativa.
Dobbiamo provarci anche in Italia. Unire la sinistra che si oppone a Monti su un chiaro programma di cambiamento, che cancelli le controriforme sul mercato del lavoro e sulle pensioni, che rilanci l’intervento pubblico in economia pere creare occupazione e un rilancio dell’economia puntando sulla riconversione ecologica della produzione, che elimini le norme della precarietà permanente del lavoro , che si batta per la giustizia sociale e una redistribuzione del reddito e della ricchezza, che rilanci la scuola pubblica, la ricerca e l’università, difenda i beni comuni e tagli le spese militari, che ritiri i nostri contingenti dai teatri di guerra, a partire dall’Afghanistan. Rifondazione Comunista si mette a disposizione di questo progetto. Costruiamo anche in Italia una forza come Syriza, Il front de gauche, Izquierda unida.
I rapporti di forza politici non sono eterni. Ragionare sul quadro politico come se non fossimo nel mezzo della più grande crisi economica dal 29 in poi, o con gli schemi del ventennio berlusconiano e del bipolarismo, è sbagliato e ci porterà a ripetere gli errori del passato. In America latina la sinistra ha vinto rompendo i sistemi politici bipolari dominanti, crollati insieme al fallimento delle ricette neoliberiste. La crisi che viviamo è strutturale e destinata a peggiorare. Non dobbiamo avere paura. Dobbiamo avere il coraggio di provarci, di costruire una proposta per il paese alternativa alle destre e all’asse PD- Casini. Perché dobbiamo battere il neoliberismo e il bipolarismo delle banche, per ridare la sovranità e la dignità ai popoli e toglierla agli speculatori e ai mercati.

La battaglia per la difesa dell' articolo 18 continua...

venerdì 22 giugno 2012

145 Fiom a Pomigliano



di Francesco Piccioni
Il tribunale civile riconosce che nello stabilimento campano c'è stata «discriminazione» nelle assunzioni e ordina di «sanare» la violazione
Che paese civile, doveva esser l'Italia fino a qualche anno fa! Pensate che esistevano delle leggi che riconoscevano ai cittadini il diritto di non essere discriminati in base alle proprie opinioni. Persino sul posto di lavoro! Forse per questo - diranno gli storici futuri - i saggi del sistema finanziario multinazionale pensarono bene di cancellare tutte le leggi che incongruamente difendevano il diritto di ogni singolo dipendente di avere un'opinione propria e di scegliere a quale sindacato iscriversi...
Il futuro è già qui. Ma per ora esistono ancora le leggi e i tribunali sono chiamati a farle rispettare. La Fiom ha ottenuto dal tribunale civile di Roma (non «del lavoro») la «madre di tutte le sentenze»: quella che impone alla Fiat - pardon, alla Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) - di assumere 145 ex dipendenti iscritti alla Fiom. Per sovrappiù, la Fiat dovrà corrisponedere a ognuno dei 19 ricorrenti un «danno esistenziale» pari a 3.000 euro. Sentenza inappellabile, subito esecutiva.
Il perché e il «quanti» è scritto nella legge, anzi in due. La cosa stupenda - una vera vendetta della logica e della storia - è che una delle due porta addirittura la firma di Maurizio Sacconi, il pasdaran passato alle cronache come ministro «del lavoro» (sì, lo so, anche questa suona strana..). Che ieri deve aver avuto seri problemi di fegato prima di dichiarare che «il provvedimento giudiziario è emblematico dell'anomalia che contraddistingue la giustizia italiana».
Il meccanismo è stato spiegato da un raggiante avvocato Lello Ferrara. Il contributo di Sacconi è rinchiuso in una procedura chiamata «ricognizione sommaria»; un po' meno di un processo, un po' di più di una «ricognizione semplice». Una cosa pensata per accelerare le «inutili lungaggini» che spingono certi giudici del lavoro a ostacolare il procedere delle imprese. Grazie; può servire anche in senso opposto (come sa chi sa di legge...).
La seconda è invece il semplice recepimento di una direttiva europea (e anche qui la logica si vendica...) in chiave di «pari opportunità». Un'indicazione anti-discriminazione che vale però anche nei casi di assunzioni al lavoro: nessuno/a può essere svantaggiato a causa delle proprie opinioni o tessere sindacali. Ineccepibile, nevvero?
E infatti non c'è eccezione che tenga, nemmeno a Pomigliano. Dove la Fiat, chiudendo e riaprendo come newco («un imbroglio», lo definisce Andrea Amendola, «contro la Fiom e tutti i sindacati dissidenti»), ha riassunto 2.091 dei 4.500 dipendenti originari. Di questi, nessuno tra gli iscritti alla Fiom. La quale, al momento del change aveva 623 iscritti, poi ridottisi a 382 a causa dei ricatti individuali (telefonate, avvertimenti, messaggi trasversali, ecc); ulteriormente scesi di 20 unità quando, di fronte all'alternativa «ti assumo solo se stracci la tessera», altri hanno ceduto. Bene, ha detto il giudice di Roma: 362 iscritti sono l'8,75% dei vecchi dipendenti di Pomigliano, quindi la Fiat deve assumerne almeno 145. In base alle disposizioni che vietano la discriminazione per qualsiasi ragione.
La legge prevede l'esame anche della «prova statistica». E uno statistico ha dimostrato che un'eventualità del genere (nemmeno un iscritto su tot assunti) si verifica una volta ogni 10 milioni. Insomma: la Fiat ha scientificamente scartato tutti quei vecchi dipendenti che avevano avuto qualche frequentazione col sindacato guidato da Maurizio Landini. Per avere una fabbrica popolata di schiavi obbedienti, da sottoporre al «rito dell'acquario» quando sbagliano qualcosa. Come a Guantanamo, pare.
Per una volta, anche Landini si fa prendere dalla commozione, come tutti i protagonisti del tavolo Fiom (Franco Percuoco, Ciro D'Alessio, oltre ad Amendola). E ringrazia la stampa che ha tenuto in primo piano la vicenda, dandole rilievo politico. Soprattutto ringrazia i suoi «ragazzi» che hanno messo la dignità di tutti davanti all'interesse individuale. E annuncia che la Fiom non userà questa sentenza per pretendere il «rispetto di una quota» fissata dal giudice. Le tute blu pretendono invece che a Pomigliano siano riassunti tutti i 4.500 dipendenti che c'erano, senza guardare alle tessere sindacali. «Il mercato non tira abbastanza?». Bene, si faccia come in Volkswagen, qualche anno fa: redistribuzione del lavoro, riduzione d'orario e contratti di solidarietà (a Wolfsburg: 27 ore settimanali, con integrazione di cig). Se davvero la Fiat «crede nel suo progetto», le sarebbe facile accettare; non avrebbe senso perdere tante competenze. Se non lo fa è la prova che «non ci crede nemmeno lei».
Perché «questa sentenza sana una ferita, ma non risolve tutti i problemi». La garanzia dei diritti e dell'agibilità dovebbe essere il compito del governo e delle forze politiche; che da due anni tacciono (nel migliore dei casi) davanti allo scandalo del« modello Pomigliano». Davanti a un'azienda che se ne frega delle leggi e della Costituzione. Ma anche perché c'è un problema di investimenti promessi e non fatti, di un «piano industriale» sconosciuto a tutti e di un evidente allontanamento progressivo della Fiat dall'Italia. «È in gioco un intero settore industriale», ricorda Landini.
È lotta civile in senso stretto. Il tribunale che ha deciso non era «del lavoro». Si è pronunciato sui diritti fondamentali (art. 4 della Costituzione e egualianza), non su accordi te,poranei. Sarà un caso, ma a tarda sera la Fiat era ancora letteralmente senza parole. Ricorrerà in appello, ovvio. Ma non osa dire nulla. Apparirebbe davvero incivile.
da Il Manifesto, Venerdì 22 Giugno 2012

venerdì 15 giugno 2012

Esodati, avevamo ragione noi


di Salvatore Cannavò
Alla fine avevamo ragione noi. Cioè quelli che, sulla stampa, nei blog, in qualche aula parlamentare, avevano spiegato fin dall’inizio che i numeri dei lavoratori “incentivati all’esodo” dal posto di lavoro erano molto più alti dei 50-60 mila cui si è sempre attenuto il governo.
L’Inps ha finalmente inviato al Ministero del Lavoro la sua relazione sul dossier è la cifra è ancora più alta delle stime che sono state fatte negli scorsi mesi: 390.200 i lavoratori che avrebbero diritto, in base al decreto Salva Italia e al successivo Milleproroghe a usufruire delle vecchie regole pensionistiche. Il governo ha invece pronto un decreto in cui ha stanziato risorse solo per 65 mila senza spiegare come farà a tutelare tutti gli altri.

Nessuno può dire però di non averlo saputo prima: la dimensione del problema era già nota a tutti e, anzi, sui numeri dei cosiddetti esodati si è giocato un balletto di rapporti interni al governo e alle sue componenti politiche che chiama in causa quella stessa Ragioneria dello Stato attaccata frontalmente da Eugenio Scalfari nel suo editoriale di domenica e difesa ieri, sulle pagine di Repubblica, da Mario Monti. Che l’Inps conoscesse i numeri, inoltre, è dimostrato da un’audizione parlamentare del direttore generale dell’istituto previdenziale, Mauro Nori, svoltasi lo scorso aprile e in cui, escludendo i lavoratori soggetti a regime di contribuzione volontaria si faceva la cifra di 130 mila lavoratori da coprire. Le stime più prudenti individuano in 200 mila le posizioni di contribuzione volontarie che rientrerebbero nel conteggio dei cosiddetti esodati e quindi i conti tornano ancora una volta. Insomma, tutti sapevano e non basta dire, come ha fatto Elsa Fornero, che la riforma delle pensioni è stata fatta di corsa perché il “paese era sull’orlo del baratro” e quindi qualche sbaglio può essere stato fatto.

Ammettiamo pure che di sbagli se ne possono fare. Il problema è il rimedio. E al momento di rimedi non se ne vedono. Tanto che gli stessi lavoratori “esodati” hanno provveduto a creare una loro specifica proposta: un Osservatorio da istituire presso l’Inps e che ogni anno, valutando la situazione reale del mondo del lavoro, comunica al governo il numero di pensioni da erogare. Chi dovrebbe aver diritto? “Le lavoratrici ed i lavoratori che al 31/12/2011: Siano stati inseriti in piani di mobilità e/o cassa integrazione; abbiano sottoscritto con le aziende accordi individuali o collettivi di “esodo incentivato” , indipendentemente dalla data di effettiva uscita e dalla maturazione del diritto alla prestazione pensionistica; siano stati inseriti in “Fondi di solidarietà”, indipendentemente dalla data di uscita dal lavoro,di fruizione delle prestazioni dei fondi e dalla durata degli stessi. Siano stati licenziati – in prossimità della pensione – da aziende che, per la loro dimensione, non gli hanno permesso l’accesso ad ammortizzatori sociali. Siano stati autorizzati alla contribuzione volontaria”. Ecco qui, non è difficile. Nemmeno per un governo di tecnici.

domenica 10 giugno 2012

La solita lega xenofoba



Nostro comunicato stampa riguardo al volantino (sopra)  distribuito dalla Lega a Poggibonsi durante il Festival Narrazioni...   http://www.narrazioni.it/portal/


Il PRC torna ad esprimere preoccupazione per il ripresentarsi sul
nostro territorio di volantini carichi di insulti, odio e
intolleranza. Volantini firmati da una forza politica precisa, la Lega
Nord, che per sopravvivere ai propri guai giudiziari, cerca di
insediarsi nelle fasce meno istruite della popolazione, facendo leva
sugli istinti più barbari e l'innata diffidenza per il diverso.
Un anno fa a cadere nel mirino di questi soggetti eravamo stati noi
comunisti, accusati fra l'altro -in un volantino che trasudava rabbia
e violenza- di aver danneggiato la loro bacheca. (Per questa
diffamazione abbiamo sporto regolare denuncia ed i calunniatori
risponderanno al giudice...). Oggi il bersaglio sembra essere
diventata la manifestazione culturale “narrazioni festival”. Anzi
probabilmente il loro nemico principale è la “cultura” in quanto tale.
Proprio perchè la cultura è il principale antidoto alla xenofobia,
all'intolleranza, all'odio.......





PRC sezione “G.K.Zhukov” Poggibonsi

giovedì 7 giugno 2012

Come ti cambio la Costituzione...



di Romina Velchi
C'era lo stato maggiore del Pdl al gran completo, ieri al Senato, per la conferenza stampa nella quale sono stati presentati i cinque emendamenti che dovrebbero cambiare la Costituzione in senso semipresidenziale. Una comparsata degna delle grandi occasioni: c'era ovviamente il segretario Alfano; poi il coordinatore La Russa, i capigruppo Cicchitto e Gasparri, il vice capo dei senatori Quagliariello, l'ex ministro Brunetta e il deputato Calderisi.
E d'altra parte era ovvio: erano lì in pompa magna per illustrare la «riforma delle riforme», con tanto di cartellina e tabella di marcia per dimostrare che i «tempi tecnici» per approvare il semipresidenzialismo alla francese ci sono e che dunque la loro è una proposta «seria», non un modo per perdere tempo o per ottenere «un no tattico»: «Facciamolo ora o mai più» si lancia Alfano.
Una mossa astuta, che permette al Pdl di gettare la palla nel campo avverso (cioè del Pd), avendo incassato il sì (per ora ufficioso) della Lega, quello ufficiale di Fli («Sosterremo convintamente gli emendamenti sul presidenzialismo presentati al Senato dal Pdl», mette nero su bianco il vicepresidente Bocchino) e il nì di Casini. «Se ci sarà il no (del Pd, ndr), metteremo in evidenza che il nostro è il campo dei riformatori mentre la sinistra è per la conservazione dello status quo» mette subito in chiaro il segretario del Pdl. Anzi, Alfano propone un vero e proprio scambio: «Dopo le amministrative il Pd ha proposto il doppio turno alla francese, va bene se loro accettano il presidenzialismo».
Una vera trappola, nella quale, per la verità, il partito di Bersani si è (come altre volte) cacciato da solo: tirare in ballo il doppio turno, perché le amministrative non sono andate come dovevano, non sembra essere stata una mossa felice. E adesso toccherà al Pd dimostrare che non è vero, che il tempo non c'è e che «la voglia di semipresidenzialismo» è un «alibi per non fare alcunché» (commento di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd). D'altra parte, anche questa è una materia sulla quale, nel partito di Bersani, le posizioni sono diverse. Per una Finocchiaro che chiude alla proposta (una riforma simile «non può essere fatta se prima non si approva una legge sul conflitto di interessi» e comunque «richiede quantomeno una discussione pubblica e articolata, non è roba che si fa con un emendamento») c'è un Giachetti che invece sostiene che «arroccarsi su no preventivi e difensivi sia un errore».
Certo, se il Senato dovesse bocciare questi emendamenti, poco male: il Pdl giura che, in questo caso, non ostacolerebbe «il percorso della riforma in discussione al Senato» sulla base del testo uscito dalla commissione. Se, invece, Palazzo Madama dicesse sì (come è possibile, vista la "rinnovata" alleanza tra Pdl e Lega e il sì di Fli; l'Idv annuncia invece «barricate» contro la proposta del Pdl), allora serebbero guai. Per il Pd, che avrebbe solo due scelte: ingoiare il rospo o mandare a monte tutta la riforma per bloccare il semipresidenzialismo, con gli strascichi polemici e le lacerazioni interne facilmente immaginabili. Per il governo Monti, che, nella seconda ipotesi, si ritroverebbe con una maggioranza in piena crisi di nervi, con Pd e Pdl a rinfacciarsi le responsabilità.
Insomma, un ennesimo pasticcio di cui proprio non si sentiva il bisogno. Tanto più che, per la cronaca, gli italiani hanno già detto chiaramente - non un secolo fa, ma appena sei anni fa, nel 2006 - che la Costituzione gli piace così com'è: è stato in occasione del referendum che ha bocciato, con oltre il 60% dei no, le modifiche costituzionali volute del governo Berlusconi di allora. Perché allora tanta fretta? Tanta insistenza sulla necessità di fare riforme di cui gli italiani non avvertono l'urgenza (a parte la legge elettorale)? È quello, per altro, che si domandano illustri costituzionalisti come Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Luigi Ferraioli, Domenico Gallo, Raniero La Valle, che in un appello scrivono: «Con una inammissibile precipitazione il Senato ha approvato in commissione un disegno di legge di riforma costituzionale. Ma la Costituzione non può essere profondamente mutata senza una vera discussione pubblica, senza che i cittadini adeguatamente informati possano far sentire la propria voce. È inaccettabile che la richiesta di partecipazione, così forte ed evidente proprio in questo momento, venga ignorata», mentre «ora si propone di passare da una repubblica parlamentare ad una presidenziale, di modificare dunque la stessa forma di governo, con un emendamento presentato in Aula all'ultimo momento (...) I firmatari di questo documento (...) si rivolgono a tutti i parlamentari perché rinuncino a portare avanti una modifica tanto pericolosa del sistema costituzionale». Gianni Ferrara aggiunge di suo: «Una rappresentanza parlamentare di dubbia, molto dubbia legittimazione, per le modalità con cui è stata selezionata, abbia almeno la sensibilità di astenersi dal tradire insieme democrazia e diritto». Cosa ha da dire il Pd?


lunedì 4 giugno 2012



La riforma del mercato del lavoro è ancora  in Parlamento, ma i suoi devastanti effetti iniziano a manifestarsi ancor prima dell'entrata in vigore. Anche nel nostro territorio.

Se fino ad oggi la magistratura annullava i licenziamenti collettivi fatti in assenza di motivazioni economiche dimostrabili, cioè senza un piano industriale ed un bilancio definito che evidenziassero la necessità di un numero preciso di esuberi, con la riforma non avverrà più. E le aziende già ne stanno approfittando, come nello stabilimento TRIGANO di Cusona, uno dei principali del settore camperistico.
L'azienda infatti ha deciso unilateralmente di non rinnovare il contratto di solidarietà di cui usufruiva da due anni, e di ridurre il personale di ben 110 unità. Dopodichè ha fatto sapere che i licenziamenti potevano tranquillamente ridursi da 110 a una trentina se i lavoratori rinunceranno al vantaggioso contratto aziendale, ottenuto in passato con la lotta.
Quindi  l'azienda non ha alcun piano definito né un calcolo definito degli esuberi. L'azienda usa la minaccia di licenziare un terzo dei lavoratori per costringerli ad accettare le proprie condizioni: Marchionne fa scuola. E la cosa grave è che con la riforma Fornero anche una “motivazione economica” palesemente falsa degli eventuali licenziamenti è sufficiente a cacciare la gente dal proprio posto di lavoro.

I Comunisti appoggiano la lotta iniziata dai lavoratori della Trigano, che non hanno intenzione di cedere al ricatto, la sostengano nelle sedi istituzionali dai comuni alla regione, invitano tutta la cittadinanza a mobilitarsi. Per questa vicenda, ovviamente, che già da sola avrà pesanti ripercussioni sul nostro territorio, ma anche contro la riforma Fornero in toto, che produrrà un'infinita serie di casi analoghi.

Circolo G.K.Zhukov – PRC Poggibonsi

Sulla crisi del comune di Siena


 In merito alla crisi che il Comune di Siena sta attraversando prendiamo atto delle dimissioni del Sindaco come esito del mancato voto al bilancio consuntivo del 2011 con il relativo sfaldamento della coalizione che aveva portato alla elezione di Ceccuzzi. Ben 8 consiglieri della maggioranza, di cui 7 del PD, hanno scelto di votare contro accettando la conseguente caduta della Giunta. Queste dimissioni, che sembra porteranno al commissariamento prefettizio del Comune e successivamente a nuove elezioni, speriamo possano essere un atto di rottura definitivo con la tradizionale spartizione delle nomine tra pochi capo-bastone e grandi elettori, favorita, del resto, dalla legge elettorale vigente dal 1993. Legge sostenuta all’epoca dal PDS la quale, svincolando l'elezione del Sindaco da quella del Consiglio, favorisce questo tipo di politica: è il sindaco che prende le decisioni e discute (tratta) le nomine con chi vuole mentre la funzione dei consiglieri si riduce al controllo a posteriori -per quelli che lo vogliono fare!-. C'è però un problema che nessuna legge elettorale pare riesca a risolvere: in questo modo non si riesce mai a mantenere tutte le promesse, aperte o sottintese, che si fanno in campagna elettorale. Ciò, particolarmente a Siena, ha comportato ogni volta ripartire da zero, da un sindaco ad un altro, con proclami di discontinuità con chi aveva governato precedentemente, per rilanciare un immagine nuova da rendere più “appetibile” e così Ceccuzzi si è presentato in discontinuità con Cenni che a sua volta si era presentato in discontinuità con Piccini, mentre avrebbe dovuto essere la coalizione che si sottoponeva a verifica, tra i partiti e le diverse opzioni programmatiche e i cittadini elettori. Non a caso, il tentativo "ceccuzziano" di “rinnovare” e “salvare Siena” è stato portato avanti con la stessa logica, con i programmi che scompaiono indistintamente sullo sfondo e la sola ricerca delle alleanze, anche dopo le elezioni. Come esempio di ciò possiamo citare i processi poco chiari che hanno portato alla nomina dei nuovi amministratori del MPS senza un chiaro e condiviso progetto per la banca. Anche la vicenda del rinvio di precise decisioni su due importanti questioni come l'aeroporto di Ampugnano e il regolamento edilizio, già eluse nella precedente legislatura, sembrano potersi leggere con l’ esigenza di mantenere in piedi uno schieramento eterogeneo tralasciando volutamente gli aspetti programmatici. Il tema aeroporto non è stato affrontato, mentre dal 2000 al 2011 sono andati in fumo ben 13 milioni di euro per ripianarne i debiti, perché all'interno del PD, ma anche in altri partiti della coalizione, si trovano opinioni opposte. Il Regolamento Edilizio ha sollevato lo stesso problema con chi voleva far pesare più di altri le relative perplessità espresse dalle associazioni di categoria. È la solita logica della sopravvivenza; si evitano temi spinosi spostandoli in avanti ed evitando di discuterli e approfondirli. Questo sistema, a Siena, ha potuto dispiegarsi sino a ieri grazie alle ingenti risorse provenienti dalla Fondazione e destinate ai servizi e socio-assistenziali e culturali che permettevano una discreta qualità della vita ed anche un forte consenso elettorale al centrosinistra dovuto al senso di “elargizione” di tanti servizi consentendo contemporaneamente al potere politico di evitare di colpire gli interessi dei grandi detentori di rendite immobiliari e commerciali. Il Partito della Rifondazione Comunista non è esente dall’aver assistito da dentro la maggioranza a tali processi ultradecennali nonostante abbia espresso sovente delle denunce politiche contro tali degenerazioni e fatto anche delle proposte politiche per cambiare la situazione che però non sono quasi mai state accolte dal Partito Democratico. Così come non siamo esenti da responsabilità sulla questione dell’acquisizione di Antonveneta, alla quale il Partito acconsentì con poche titubanze credendo alla favola della grande banca che potesse competere anche a livello internazionale per dare più utili alla Fondazione e quindi indirettamente aumentare la ricchezza per la città. Facciamo autocritica per tutto questo, convinti della necessità di approfondire insieme ai cittadini quali soluzioni adottare affinché la Banca e la Fondazione, nei diversi ruoli, ritornino ad essere uno strumento di redistribuzione della ricchezza affrontando al contempo la necessità di dotarsi di un chiaro profilo programmatico a tutela dei ceti più deboli. Intanto noi cominciamo questo nuovo percorso partendo dalla totale opposizione al Governo Monti e combattendo contro i suoi tagli ai trasferimenti agli enti locali e proponendo, a livello cittadino, una riformulazione maggiormente progressiva dell’addizionale IRPEF e una revisione dell’IMU, la quale, attualmente, agevola i fondi commerciali a scapito della prima casa e dei contratti a canone concordato utili alle famiglie in affitto. Infine, vogliamo che sia realizzato un molto più duro contrasto all’evasione fiscale sugli immobili – affitti in nero e IMU non pagata su case costruite abusivamente o in deroga– al fine di trovare le risorse per finanziare i servizi scolastici e socio-assistenziali revocando gli aumenti delle tariffe sugli stessi. 

Matteo Mascherini - Segretario Provinciale PRC Siena 
Francesco Andreini - Segretario Circolo PRC di Siena “Viro Avanzati”